Recensione “Tokyo Vice” di Jake Adelstein

Recensione “Tokyo Vice” di Jake AdelsteinTokyo Vice di Jake Adelstein
Pubblicato da: Einaudi il 06/09/2011
Generi: Saggistica
Pagine: 466
Formato: Copertina Flessibile
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Recensione senza spoiler

La storia di Jake Adelstein, dal 1993 al 2005 cronista di nera per lo "Yomiuri Shinbun", il più grande quotidiano del Giappone, e dal 2005 al 2007 investigatore capo del dipartimento di Stato Usa in un'indagine sul traffico di donne nel Sol Levante. Una disamina rigorosa del crimine organizzato giapponese, tra estorsioni, sfruttamento della prostituzione, collusioni con la politica. E il resoconto emozionante delle indagini che hanno portato Adelstein a incrociare le armi con uno dei più grandi boss della yakuza e a rischiare la vita (al punto di entrare per più di un anno nel programma protezione testimoni). Un libro indispensabile per comprendere l'anima nera del Giappone, ma anche per penetrare nei meccanismi più reconditi del crimine, e scoprirli vicini, a volte fin troppo simili a quelli di casa nostra.


Iniziamo subito la recensione con una doverosa precisazione: Tokyo Vice è un libro che racconta la storia di un giornalista americano in Giappone. Viene detto sin da subito nella sinossi, me ne rendo conto, ma è facile confondersi e credere che questo libro parli di Yakuza. Credevo di essere il solo ma a quanto pare molti si sono sbagliati come me. Sarà stata la copertina, la sinossi o le premesse sui siti e-commerce, ma la mia idea era quella di un libro incentrato sulla malavita giapponese. La Yakuza c’è, ma occupa un terzo di tutto il racconto a essere generosi.

Il libro è facilmente divisibile in tre parti. L’autore nei primi capitoli narra la sua storia personale, com’è entrato nello Yomiuri Shinbun e ci parla dell’inizio della sua carriera.
Arrivano poi diversi capitoli con diversi racconti casuali: alle volte ci viene narrata la noiosa vita d’ufficio, alle volte le sue avventure private. Ogni tanto un capitolo è dedicato a un caso di criminalità, tra cui la scomparsa di Lucie Blackman e gli omicidi dell’allevatore di cani e animali esotici. La Yakuza fa qualche comparsa qua e là, ma l’autore stesso dice che al tempo non era di suo interesse (o comunque, non era il suo campo).
Le ultime pagine parlano dell’argomento per cui ho acquistato il libro, lo “scontro” tra Adelstein e Tadamase Goto, anticipato più volte nel testo (un continuo nominare Goto e l’esperienza dell’autore con il boss, per poi dire “Ma ne parlerò più avanti”).

Se anche voi siete interessati al libro per questo motivo, lasciate perdere. Se ne parla ben poco, molte cose non vengono dette e sembra più un contentino, un qualcosa aggiunto per rendere più interessante la sinossi del libro. Adelstein dice che certe cose non le può scrivere per proteggere i propri testimoni. Non essendo un gran esperto di queste procedure gli abbono la scusa.

L’edizione italiana Einaudi non ha grandi pregi o difetti. Vi sono un paio di errori editoriali, tra cui parole ripetute, ma nulla di grave. Le pagine e la copertina sono di qualità buona e non vi sono sbavature.
Ciò che avrei apprezzato, e la cui mancanza fa perdere qualche punto al libro, è un bel glossario come quello di Kitchen di Banana Yoshimoto. L’autore non sempre spiega il significato delle parole giapponesi che usa e ricordarsi tutti i nomi dei personaggi incontrati da Adelstein non è per niente facile.

Se cercate un libro che parla in modo piuttosto generico (e, molto importante, in modo personale) della criminalità giapponese, questo è un ottimo libro. Se cercate un libro che parli di Yakuza, guardate altrove. Vi è sicuramente qualcosa di più ricco, oggettivo e specifico.

Cosa mi è piaciuto: Il racconto in generale è facilmente godibile, alle volte ripetitivo.
Cosa non mi è piaciuto: La mancanza di un glossario, il fatto che di Yakuza si parla poco, l’eccessiva lunghezza di alcuni racconti.

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